Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Apollo e Diana. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Apollo e Diana. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Le splendide incisioni del Tarocchino Bolognese

di Grazia Merelli

Il Tarocchino Bolognese è un celebre mazzo di carte da gioco ideato dall’incisore Giuseppe Maria Mitelli nel 1660. Le carte sono una significativa testimonianza dell’attività incisoria del Seicento.

Sebbene Giuseppe Maria Mitelli (1606 – 1660) sia stato anche un pittore, è soprattutto nell’arte grafica che l’artista ha dato le sue migliori prove. Nella vasta produzione dell’artista rientrano anche diversi giochi di carte, il più noto dei quali è proprio il Tarocchino Bolognese.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Frontespizio. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Frontespizio. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Il nome del destinatario è riportato sul bel frontespizio delle carte, nel quale due putti scostano i drappeggi per mostrare lo stemma dei Bentivoglio. Un omaggio alla famiglia bolognese compare anche nell’Asso di coppe, ove è riproposto lo stemma nobiliare.

 Nel frontespizio l’opera è presentata come un “Giuoco di carte con nuova forma di tarocchini”. A quell’epoca infatti si utilizzavano i tarocchi per fare diversi giochi di carte, senza alcuno scopo divinatorio; l’uso dei tarocchi per leggere il futuro si è diffuso solo a partire dal Settecento, quando è nata la credenza ch’essi derivassero dall’antico Libro di Thoth.

Il Tarocchino Bolognese è composto da 62 carte, meno dunque rispetto alle più comuni 78; mancano infatti i due, tre, quattro, cinque e sei di ogni seme. Gli Arcani Minori presentano i canonici semi di denari, coppe, spade e bastoni. Per ogni seme vi sono re, regina, cavallo e fante.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Cupido bendato. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Cupido bendato. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Uomo che sta per colpire un giovane dormiente. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Uomo che sta per colpire un giovane dormiente. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Per quanto riguarda gli Arcani Maggiori, alcuni di essi sono sostituiti da immagini nuove, che si allontanano dalle iconografie allora più comuni. Ad esempio, al posto degli amanti compare un Cupido bendato, mentre la torre è rimpiazzata da un uomo colpito da un fulmine. Anche la carta dell’impiccato lascia il posto a un uomo in procinto di colpire un giovane addormentato. Inoltre al posto della papessa c’è nuovamente il papa, stavolta in piedi.

Il Tarocchino Bolognese mostra tutta l’abilità grafica di Mitelli. Nella sua lunga attività infatti l’artista ha realizzato moltissime incisioni; non solo riproduzioni derivate da autori come Tintoretto e Veronese, ma anche stampe dedicate ai mestieri e alla società del suo tempo.

L’incisione godeva allora a Bologna di un notevole successo cui aveva contribuito l’innovativa Accademia dei Carracci; questa era stata fondata nel 1582 dai fratelli Annibale e Agostino Carracci, insieme al cugino Ludovico, ed era nota con il nome di Accademia degli Incamminati. Nella loro scuola non solo si proponeva il ritorno alla realtà dopo gli eccessi del Manierismo, ma si praticava molto l’incisione, soprattutto a opera di Agostino.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, I quattro fanti. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, I quattro fanti. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Le incisioni del Mitelli si caratterizzano per un disegno sciolto e sicuro. L’artista non insiste molto sul chiaroscuro, che infatti è appena accennato; a Mitelli non interessa neanche lo sfondo e lo lascia quasi sempre neutro. Ciò che gli preme è soprattutto creare figure ben proporzionate, dai movimenti decisi e prospetticamente corretti; le pose dei suoi personaggi sono spesso dinamiche e piene di vita, rivelando il gusto barocco per il movimento libero nello spazio.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Uomo colpito da un fulmine. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Uomo colpito da un fulmine. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Il Matto, Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, Collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Il Matto, Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, Collezione privata. Foto Grazia Merelli

Tra gli esempi più significativi del dinamismo intriso nelle figure del Mitelli c’è ad esempio la carta con l’uomo colpito dal fulmine. La figura compie un’ardita rotazione del corpo mentre cerca inutilmente di ripararsi dal fulmine. Anche la carta del Matto mostra una scena pervasa di movimento, con un saltimbanco che danza con un cagnolino sotto gli occhi meravigliati della folla; è una scena vivace, che mostra anche il gusto dell’artista per la rappresentazione della società.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Cavallo di coppe. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Cavallo di coppe. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Le carte del Mitelli, come detto, si caratterizzano altresì per l’originalità e la fantasia delle immagini; non solo compaiono delle figure nuove al posto di quelle tradizionali, ma anche le figure tradizionali presentano iconografie nuove e originali; ciò si vede, ad esempio, nel cavallo di coppe, che è rappresentato completamente di spalle. La sua posa è assolutamente nuova e anticonvenzionale. Le carte del Sole e la Luna sono invece sostituite dalle divinità corrispondenti, cioè Apollo e Diana.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, X di denari. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, X di denari. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, VII di denari. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, VII di denari. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, VI, VII, VIII di coppe. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, VI, VII, VIII di coppe. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Lo stesso gusto estroso si trova anche nelle carte numerali. Nelle carte del seme di denari, ad esempio, le singole monete di ogni carta presentano tutte figure diverse. Nelle coppe, invece, ogni carta mostra un tipo di coppe differente dalle altre.

Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Asso di denari. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli
Giuseppe Maria Mitelli, Tarocchino Bolognese, 1665, Asso di denari. Riproduzione Edizioni del Solleone 1976, collezione privata. Foto Grazia Merelli

Particolarmente significativo è infine l’Asso di denari, nel quale il Mitelli ha rappresentato sé stesso. Sotto il busto dell’artista compare la scritta GIOSEPPE MARIA MITELLI INV. DIS.E INT, laddove le abbreviazioni stanno per “inventò”, “disegnò” e “intagliò”.  Con questa carta l’artista ha voluto rivendicare la completa paternità e originalità del mazzo da carte da lui creato.  

Il Tarocchino Bolognese è stato riprodotto nel tempo dalle più importanti case di fabbricazione delle carte. Nel 1976 è uscita una versione molto fedele all’originale, ad opera delle Edizioni del Solleone; a tale versione appartengono le immagini riprodotte nel presente studio.


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